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Precisazione della Real Pizzo: “Risposta dovuta a chi parla di provocazione”

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Non riteniamo di dover commentare e giudicare i fatti di domenica a Rosarno da un punto di vista “disciplinare” vista la presenza in campo di un ottimo arbitro e di un commissario di campo, oltre che di immagini video relative agli eventi. Una risposta però è dovuta a chi inopportunamente parla di “provocazione”. Se con questo termine si intende il tenere botta ai contrasti durissimi, se si intende il non retrocedere di un passo davanti all’atteggiamento duro e spesso pericolosamente oltre le righe di più di un calciatore del Rosarno, allora siamo e saremo sempre dei grandi “provocatori”.
Sappiamo che il calcio non è sport per chi ama raccogliere margherite, lo abbiamo visto e anche giocato, qualcuno di noi, ma di sicuro non è caccia all’uomo. Parlarne non fa bene a nessuno, non è bello e ci fa fare passi indietro lungo il cammino della civiltà.
Viene da chiedersi in che misura e dove sbaglino le società di calcio allevando e formando i giovani atleti. Continueremo a pensare che lo sport ed il calcio in particolare debbano essere palestre di vita, strumenti di comunicazione se non un vero e proprio linguaggio che avvicini ragazzi di ogni angolo del mondo. La Real Pizzo ha posto come punto centrale della sua gestione l’inserimento, anche lavorativo di ragazzi italiani e non, con l’obiettivo di abbattere il più possibile barriere di razza, cultura e religione. Vediamo il calcio come un nuovo esperanto, immediato e comprensibile a tutti, anche se parlato “con i piedi”.
Non riusciamo a comprendere certi atteggiamenti e quindi a spiegarli a chi si è affidato a noi e ci accompagna in questo percorso. Siamo ancora sgomenti e senza parole noi che eravamo in tribuna, i tifosi di Pizzo e di Rosarno, i tifosi veri, non chi ha scavalcato la recinzione. Non cerchiamo e non vogliamo trarre vantaggi dalle disgrazie altrui, perché di ciò si tratta. Chiediamo solo di poter continuare a giocare in modo sereno e secondo le regole e relegare certe brutture a palcoscenici che non ci appartengono, per convinzione, cultura e scelte di vita.

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